“Esiste un'unica forma di contagio
che si trasmette più rapidamente di un virus.
Ed è la paura"
Dan Brown
In questi giorni sta crescendo la preoccupazione circa il possibile contagio da CoronaVirus e le restrizioni sempre più severe che stanno prendendo piede in tutta Italia.
Le reazioni a questa pandemia sono tra le più diverse: da un reale sconvolgimento dello stile di vita e delle abitudini per le persone che si trovano direttamente nelle aree maggiormente colpite (le zone lombarde e venete, ultimamente alcune aree del Piemonte, ma anche Cina, Corea del Sud, Russia, Canada, Argentina e Nuova Zelanda che segnano il maggiore numero di contagiati)(fonte 1 in calce) a un semplice ripasso delle normali buone norme igieniche, da una specie di dilagante psicosi di massa con ansia e crescente paranoia nei confronti del prossimo ad atteggiamenti di sdrammatizzazione e svalutazione della situazione, da una sana preoccupazione e premura nei confronti degli altri ad un pauroso menefreghismo ed egoismo generalizzati.
Ma non dimentichiamoci anche dello stupore.
Sembra quasi impossibile che una cosa del genere, che sta arrivando ad una portata globale, tocchi proprio a noi. Al Nord Italia piuttosto che al Sud; al mondo industrializzato piuttosto che ai paesi sottosviluppati. Abbiamo spesso sentito di guerre e malattie (come l’Ebola, per esempio), ma finora hanno sempre riguardato altri da noi, paesi lontani, persone lontane, anzi forse neanche persone ma figure indistinte, considerate sempre da lontano, come fossero diversi da noi, qualche africano lì, qualche ecuadoregno là.
Ora invece riguarda noi. E’ partito da noi.
Un mix di emozioni contrastanti
Rabbia, paura, preoccupazione, ansietà, spavento, irritazione, fastidio, frustrazione, rifiuto: emozioni in gran parte negative, che entrano a gamba tesa nelle nostre vite che fino a ieri scorrevano più o meno lisce.
Ma ci sono anche emozioni positive e i comportamenti salutari che ne derivano: il desiderio di fare del bene, di aiutare, l’ottimismo, la leggerezza, la compassione, l’impegno civile, una curiosità ridestata, un maggior senso di responsabilità.
Quale che sia il nostro stato in questo momento, possiamo portarlo (e portarci con esso) nella pratica di Mindfulness.
Non lasciamoci andare all’automatismo, sebbene sarebbe senza dubbio più facile in questo momento in cui siamo, umanamente, sotto attacco, ci sentiamo minacciati e siamo vulnerabili. Sarebbe più facile guardare male la prima persona che fa un colpo di tosse, o insultare e disprezzare senza raziocinio una determinata etnia.
E’ più facile perché è quello che siamo programmati biologicamente a fare in situazioni di stress e pericolo. Tutta la zona più evoluta del nostro cervello, la corteccia prefrontale, che si trova proprio dietro la nostra fronte, è come se si “spegnesse” e, quando questo accade, non ci sono più disponibili funzioni cognitive e comportamentali molto importanti e tipiche della nostra specie, dell’Homo Sapiens Sapiens. In questa situazione di stress, torniamo per così dire a uno stadio evolutivo inferiore, perdiamo un po’ di umanità.
La corteccia prefrontale ci permette di analizzare con lucidità gli eventi, raccogliendo e organizzando le informazioni che provengono da diverse aree, di dare un senso alle cose che succedono, di riconoscere le nostre emozioni, di modularle, di gestirle, di regolare l’allarme, la paura, l’evitamento, di adottare strategie adattive che ci permettano di trovare soluzioni originali ai problemi (e il CoronaVirus ce ne porta parecchi, di problemi!), di riflettere sulla nostra esperienza e di adattarci in modo sano al mondo esterno e interno.
La corteccia prefrontale inoltre è collegata con altre aree del cervello, tra cui quelle più interne (il circuito limbico) dove risiedono appunto le strutture deputate, indovinate un po’, ad individuare le minacce e a lanciarci i segnali necessari per metterci in salvo.
Ecco spiegato, a grandi linee, come una situazione di forte stress, disagio, insicurezza, in cui vengono lanciati messaggi di allerta e minaccia in modo eclatante dalla nostra amigdala, riesca a “disattivare” i collegamenti con la corteccia prefrontale, la parte più evoluta del cervello, e quindi a farci comportare in modi più primitivi ed egoisti, tipo assaltando supermercati, facendo razzia di mascherine o affollando le stazioni per scappare col primo treno disponibile, incuranti delle conseguenze.
Possiamo portare tutto nella pratica
La bella notizia è che tutto questo vissuto, questo caotico mondo umano, si può portare nella nostra pratica di consapevolezza.
Possiamo esplorare le varie emozioni, trattenendoci dall’agire compulsivamente su di esse e riconnettendoci al corpo. Possiamo avere l’occasione di sentire chiaramente l’ansia nel corpo che si chiude a proteggersi, nel sangue che scorre più forte, nel respiro che diventa rapido, nei pensieri che si riempiono di rabbia o altri elementi emotivi. Sentire, senza stare a pensare.
Possiamo osservare tutto ciò senza reagire automaticamente, come automi, come robot.
Possiamo osservare la rabbia che fa da barriera alla nostra paura del contagio, che ci difende dall’improvvisa realizzazione che la nostra buona salute non sia poi così scontata, che ci separa dalla connessione che non ci piace sentire con quegli africani lontani che muoiono ancora di colera (fonte 2 in calce).
Possiamo osservare la paura di perdere quello che abbiamo accumulato, la paura di ciò che non sappiamo, dell’assenza di controllo, la paura della morte che con mille luci brillanti tentiamo di accecare.
Osservare, senza reagire automaticamente. Osservare con gentilezza tutto il nostro normale ed umano funzionamento, risvegliarci alla natura interconnessa delle cose, far sorgere un po’ di gentilezza e premura.
Perché è importante praticare con queste emozioni?
E’ importante perché questo lavoro riattiva la nostra corteccia prefrontale.
Riaccendiamo i collegamenti tra la corteccia, la parte più evoluta, e le aree cerebrali interne deputate al senso di minaccia e alle emozioni, così che si possa avere di nuovo comunicazione tra queste aree e che le emozioni eccessive possano essere modulate.
Riaccendendo questi collegamenti e rinforzandoli con la pratica quotidiana, si producono emozioni positive (specialmente nell’area sinistra della nostra corteccia prefrontale) e torna possible compiere scelte rivolte al benessere.
Riusciamo a trovare uno spazio di tranquillità anche in mezzo al caos, per poter poi tornare a gestire la situazione in modo attivo, lucido e benefico.
La pratica fa entrare nella nostra esperienza di paura e rabbia il balsamo rinfrescante della gentilezza, della spaziosità, dell’apertura, dell’accoglienza, dell’ascolto. La pratica da spazio a quello che c’è, perché ormai c’è, ci familiarizza con la nostra vulnerabilità di base e ci salva dal naufragio nella baia delle sirene.
Questa pandemia può non essere soltanto un mostro da espurgare. CoVid-19 può aiutarci a diventare più umani (per esempio lavandoci le mani e attuando comportamenti sensati e rispettosi di noi stessi e degli altri), può approfondire la nostra autoconsapevolezza, allargare il cerchio della nostra compassione e annaffiare il fiore della gratitudine.
Che noi tutti possiamo coltivare la pratica anche nei momenti difficili.
Che possiamo essere al sicuro.
Che possiamo essere in salute.
Che possiamo prenderci cura di noi stessi, degli altri, e vivere con serenità e agio.
Possa esserci pace.
FEDERICA GAETA
Terapista della Riabilitazione Psichiatrica
Istruttrice Qualificata Mindfulness e prot. MBSR
tel. 327 49 58 256
fonti:
1 “Coronavirus. Colpiti 91 Paesi”, Rai News, 7/03/2020
2 “Malattie infettive: in Africa oltre duemila morti in sei mesi. Le epidemie che uccidono”, Il Sole 24 Ore, 18/07/2018,
Approfondimento:
Cambiamenti neurologici dovuti alla pratica della Mindfulness Meditation