Con il crescere dell’interesse generale nei confronti della pratica di consapevolezza, diventano evidenti alcuni equivoci e “convinzioni”. Ne ho buttati giù alcuni, che esplorerò in articoli separati. Vediamoli un po’ in elenco, tipo lista della spesa. Quali mettete nel carrello?
- la mindfulness serve a rilassarmi
- con la mindfulness voglio mandare via i pensieri o almeno controllarli
- con la mindfulness voglio stare meglio
- la mindfulness è una cosa spirituale o “da buddhisti”
- la mindfulness è spirituale quindi va fatta gratis o a donazione libera
- posso fare mindfulness senza insegnante
- la mindfulness va fatta sotto la guida di un insegnante
- la mindfulness non si può insegnare
- mindfulness e meditazione sono la stessa cosa
- la mindfulness è come l’esoterismo (tarocchi, rune, oroscopo, oro incenso e mirra)
- la mindfulness è pensiero positivo
- la mindfulness è buonismo
- quando facendo mindfulness mi sento come in trance, vuol dire che funziona o la sto facendo bene
- la mindfulness è noiosa, io invece sono una persona attiva e dinamica
- pratico mindfulness ma non noto differenze
In base alla mia attuale esperienza di praticante e di insegnante, questi equivoci sono situazioni ambivalenti:paradossalmente, sono sia veri che falsi allo stesso tempo. Forse ce ne sono anche altri, di questi equivoci. Per il momento, mi vengono in mente questi, e vorrei analizzarli brevemente.
La Mindfulness serve a rilassarmi
Sì, ma anche no.
Può succedere di rilassarci molto, quando pratichiamo, dove però “rilassarsi” non significa “dormire”. Stiamo allenando la consapevolezza, non i sogni lucidi. A volte, praticando può succedere che al contrario si provino emozioni intense di rabbia, ansia, panico, disperazione...Vuol dire che non “funziona”? Sarebbe una conclusione quanto meno affrettata…
Con la mindfulness voglio mandare via i pensieri o almeno controllarli
Buona fortuna!
Una delle prime cose che si imparano, ognuno coi propri tempi, è a lasciare andare l’illusione del controllo. Di solito, ci arriviamo abbastanza presto, insieme alla consolante e rilassante rivelazione che i nostri pensieri possono fare quello che vogliono perché “noi non siamo i nostri pensieri”. Ma non vale leggerlo per capirlo, bisogna scoprirlo con la pratica.
Con la mindfulness voglio stare meglio
L’erba voglio…
Voglio lo stipendio più alto, voglio andare in vacanza, voglio perdere 10 kg, voglio che il capo sia più simpatico, e via discorrendo...Che stress, tutto questo volere, no? E se lasciar andare fosse la chiave?
La mindfulness è una cosa spirituale o “da buddhisti”
Aiutiamoci con la definizione del Treccani (tra parentesi i miei commenti).
SPIRITUALE: 1-che è immateriale, esente da materialità (molte cose possono esserlo…); 2-Proprio dello spirito, inteso come complesso e centro della vita psichica, intellettuale e affettiva dell’uomo (volete bene al vostro gatto o cane? Sapete leggere e scrivere? Provate qualche emozione ogni tanto? Ecco, siete spirituali. Questo è il significato 2a sul Treccani perché poi abbiamo il 2b); 2b-Proprio della sfera religiosa, mistica e ascetica, in contrapposizione, soprattutto nella concezione cristiana, a mondano, terreno, profano, temporale (nel significato 2b si dipana tutta una serie di accezioni che hanno a che fare con la religione, soprattutto cristiana e non buddhista). Interessante inoltre la definizione di “senso spirituale” cioè il significato più profondo contenuto nella lettera di un testo, di un discorso, contrapposto al senso letterale.
La convinzione che la mindfulness sia “da buddhisti” si potrebbe approfondire, ma lo lascerò ad un altro articolo, dipende se vi interessa (RICHIAMO ALL’AZIONE! ---> fatemi sapere nei commenti! Approfondirò la cosa in un articolo solo se interessa a qualcuno)
La mindfulness è spirituale quindi va fatta gratis o a donazione libera
Quando questo conglomerato di suoni giunge al mio apparato uditivo e si forma nella mia mente il concetto che rappresenta, mi tocca personalmente e l’avversione diventa regina indiscussa del firmamento.
Tradotto: è un argomento che mi sta molto a cuore, da quando ho pensato che diffondere la cultura della consapevolezza potesse essere ciò che avrei fatto nella vita, ma anche quando prendo parte a gruppi di pratica condotti da altri insegnanti.
Perché dovrebbero essere gratis, o a offerta libera? In palestra ci vado gratis, perché la salute è un bene che dovrebbe essere di tutti? E al ristorante, il cibo me lo danno gratis? O vado dal cuoco e gli offro quanto mi sembra giusto pagare in base a chissà quale mio strampalato criterio? E l’acqua? E dal parrucchiere ci vado gratis, o gli lascio forse una donazione in base a come mi gira quel giorno? Perché invece un insegnante di Mindfulness dovrebbe portare tutta la sua persona, la sua conoscenza, esperienza, abilità, formazione, senza che questo venga riconosciuto adeguatamente?
Quando il lavoro e la professionalità non vengono riconosciuti a livello culturale, spesso il valore che viene dato a quel professionista e alla sua disciplina è basso, se non addirittura nullo. Lo stesso accade con gli psicologi, a volte. Quando si scambia il lavoro di uno psicologo o psicoterapeuta coi quattro consigli che può darmi zia Maria perché lei ne ha vissute tante, allora siamo messi davvero male...O quando "non si crede" nella scienza perché stiamo coltivando una paura che ha radici nell'ignoranza...
Da noi la meditazione, prima di essere “culturalmente occidentalizzata” grazie al lavoro di Kabat-Zinn e altri insegnanti laici, si trovava soltanto in quel fumoso insieme di cose a cavallo tra esoterico e mistico: accendevi un incenso, chiudevi gli occhi, magari una bella immagine sciamanica che ti portasse lontano da un presente non proprio allettante, percepivi un po’ di leggerezza o allegria o vago benessere o senso di appartenenza et voilà...era fatta la meditazione. E magari per fare questo si è ben disposti a pagare, perché andare fuori anziché andare dentro non richiede poi quel grande sforzo di consapevolezza ed esplorazione di sé.
Secondo la filosofia della “donazione libera” invece, bisogna lasciare al singolo l’opportunità di scegliere liberamente quanto donare. Ma io ho scelto liberamente quanto pagare per la mia formazione? No. Avrei dovuto pretenderlo? No. Scelgo io a quanto il panettiere sotto casa deve mettere il pane? In nome della “libera scelta” spesso si accampano pretese pazzesche. Considerando che la scelta non sarebbe comunque “libera”, a causa dei condizionamenti di ogni persona, delle sue convinzioni più o meno consapevoli, delle sue idee a pelle e dei vari “intuiti” che possono avere poco a che spartire con la competenza di un operatore che in quel momento non sta accendendo un incenso ma sta fornendo un servizio specializzato.
In ambiente buddhista c'è la pratica del dana cioè della generosità, che è una bellissima pratica di consapevolezza e di esplorazione dei nostri attaccamenti nei confronti del denaro: il trattenere, il lasciar andare, la paura, l'invidia, l'avarizia, la fiducia, la generosità, l'apprezzamento, il senso di abbondanza, la gratitudine...si aprono veramente tante esplorazioni, degne di essere fatte. Ma siamo culturalmente pronti per farle, attraverso le offerte libere e i percorsi gratuiti? Io credo di no. Quando vediamo la parola "gratis", in genere non riflettiamo sui nostri attaccamenti al denaro ma sorgono considerazioni molto più venali.
Consideriamo inoltre che, solitamente, gli eventi gratuiti, di qualsiasi tipo, rivestono un valore pubblicitario, un espediente di marketing, talvolta utile talvolta no, e che non sempre (dal punto di vista dell'organizzatore) sono sostenibili. Spesso si rivelano eventi in perdita, con poco o nessun vantaggio nemmeno futuro. Questo naturalmente non si applica ai grandi organizzatori, i quali già dispongono di disponibilità economiche consistenti, che attirano grandi numeri e che hanno poi buoni risultati. Andiamo così ad alimentare il ben noto detto secondo il quale piove sempre sul bagnato.
Capita che vogliamo la qualità ma non vogliamo riconoscerla monetariamente, o non abbiamo le conoscenze per riconoscerla. Il tipo di società che abbiamo creato è una società capitalistica, il valore di ogni cosa nella nostra mente dipende dal denaro, che ci piaccia o no. Siamo così condizionati in questo verso che iniziamo davvero a giudicare il valore di una cosa in base al suo costo. Costa tanto? E’ una cosa di lusso, di nicchia, possederla mi renderebbe una persona distinta, diversa dagli altri, avrei qualcosa da far invidia. Costa poco? Potrebbe valere poco, il rischio personale di perderci è comunque basso, vuoi perché la cosa sia effettivamente di scarso valore oppure perché io non riesca a capirlo. In ogni caso, costava poco e poco ci perdo. Se pagassi un po’ di più invece, ecco che la mia percezione del rischio salirebbe, e con essa salirebbe anche la mia attenzione e il mio impegno.
Qua lancerei un altro RICHIAMO ALL’AZIONE! Fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate! In che modo la vostra percezione del valore di qualcosa (un servizio, un oggetto, un’esperienza…) è legata al suo costo?
In questo equivoco, quello che più conta a mio avviso, è che non ci si può aspettare la professionalità se non si è disposti a pagarla il giusto. E a mio avviso, anche un po' più del giusto. Posso chiamare mio cugino Peppino a ripararmi alla buona la lavatrice, e magari la toppa resiste per qualche tempo, ma quando le cose si fanno importanti, è altresì importante essere in grado di riconoscere le competenze, i meriti, le abilità, le formazioni specifiche, il tempo dedicato ad una certa cosa, che il cugino Peppino non può avere perché, buon uomo, fa altro nella vita.
Qua finisce la prima parte di questo articolo che è diventanto anche un po' sfogo. Devo ammettere che ha preso più di spazio di quello che mi aspettavo. Sarebbe però bello aprire uno scambio, leggere un po’ di vostri commenti, sia in linea con quanto ho scritto sopra ma anche in contrasto, ben venga!
Nel successivo articolo, tratterò gli altri punti della nostra “lista della spesa”.
FEDERICA GAETA
Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica
Istruttrice Qualificata Mindfulness e prot. MBSR
tel. 327 49 58 256